Quanto impattano le nuove tecnologie sull’occupazione? Come cambierà il mercato del lavoro nei prossimi anni? La tecnologia apporta miglioramenti alle nostre vite, ma scardina posizioni di lavoro e competenze che le aziende devono essere in grado di riqualificare.
“Digital Disruption” è il termine coniato da Clayton Christensen, professore di Harvard, che nel 1997 pubblicò il libro The Innovator’s Dilemma, dove suggeriva che le aziende di successo rischiano di mettere troppa enfasi nel soddisfacimento dei bisogni dei clienti trascurando l’adozione di nuove tecnologie e nuovi modelli di business che serviranno ad incontrare i bisogni dei clienti di domani.
L’anticipazione di quello che servirà nel futuro viene chiamata “Innovazione/tecnologia di rottura”: gli esempi di aziende, come Blockbuster e Kodak, che fino a poco tempo fa vantavano solide leadership di mercato, travolte da nuove attività capaci di modificare e distruggere il modello di business precedente, sono tantissimi e la velocità distruttiva non riguarda solo il settore informatico ma tutti i settori merceologici, compresi il retail e la logistica. La domanda è: quanto impatteranno questi cambiamenti sull’occupazione e sulle competenze?
La preoccupazione principale è che una serie di mestieri, svolti tipicamente dalle persone, possano essere completamente sostituiti dalle nuove tecnologie. Non si parla solo dei lavori tipicamente manifatturieri, ma, andando ad analizzare più in profondità le dinamiche dei Big Data e della digitalizzazione, si comprende come verranno impattate anche attività lavorative di livello medio-alto.
La quarta rivoluzione industriale
Secondo il recentissimo report “The Future of the Jobs” presentato in occasione del World Economic Forum, entro il 2020 vi sarà una perdita di 7 milioni di posti di lavoro in 15 economie, poco compensata dalla creazione di nuovi posti per effetto della quarta rivoluzione industriale, che si stima creerà 2 milioni di posti di lavoro: saldo globale negativo quindi con 5 milioni in meno di posti di lavoro, soprattutto nelle mansioni amministrative e impiegatizie. Significativo è un altro dato riportato nella ricerca che riguarda i bambini che oggi entrano nell’istruzione primaria: circa il 65% di essi da adulti faranno un lavoro che oggi non esiste, sulla spinta di motori tecnologici che influenzeranno sempre di più le economie, come cloud, Internet of Things, robotica, trasporti automatizzati e stampe 3D.
Piuttosto che cavalcare l’allarmismo, le aziende e le risorse umane che le compongono, dovrebbero cogliere l’opportunità per riflettere in anticipo sui ruoli aziendali, sulle competenze personali e sui fabbisogni formativi innescati dal cambiamento digitale, delineando nuove professionalità che non coinvolgono solo la direzione IT o le imprese tecnologiche, ma tutti i settori e funzioni aziendali che impongono un ripensamento dei processi e servizi.
Elenchiamo alcuni esempi delle nuove figure professionali che verranno maggiormente introdotte in azienda nel corso dei prossimi anni:
- Chief Innovation Officer, una figura di alto profilo che ha il compito di proporre modelli innovativi nei processi aziendali, affinché l’impresa sappia cogliere tutti i benefici della rivoluzione digitale. Da distinguere dal Chief Digital Officer, che deve essere capace di sovraintendere e coordinare tra loro tutte le funzioni dell’azienda che interagiscono con il mondo dei canali digitali, dai social network ai dispositivi mobili, dalle piattaforme di commercio elettronico ai sistemi informativi interni.
- Chief Security Officer, deputato alla protezione della sicurezza delle informazioni e dei sistemi dell’azienda. Se si considerano le informazioni come il primo e più importante patrimonio dell’azienda e delle sue strategie di business, la centralità di della protezione dei sistemi informativi non riguarda solo il lato tecnico, ma anche l’insieme di misure di sicurezza da adottare a tutela dei dati. In questo senso, il Data Protection Officer è l’altro profilo preposto alla sicurezza dei dati aziendali, probabilmente reso obbligatorio per le aziende dall’imminente entrata in vigore del Regolamento Europeo sulla protezione dei dati.
- Sempre in riferimento alla rivoluzione dei dati è la figura del Data Scientist, che è in grado di leggere i trend socioculturali, elaborare fonti di dati, interpretare le informazioni e darne traduzione a livello di impatti di business. Dovrà possedere diverse competenze in ambito tecnologico (flusso dei dati e identificazione dei problemi), marketing (statistica e data mining in particolare), nonché capacità comunicative e di management. Copre trasversalmente tutti i reparti di un’azienda, trasformando i dati in informazioni comprensibili affinché le strategie da assumere siano chiare per i vertici dell’azienda.
- L’impatto maggiore è sul marketing e sull’importanza che questo settore assume per la competitività delle imprese che vogliono sfruttare l’economia basata su internet. Il Digital Marketing Manager ha il compito di gestire e ottimizzare le interazioni digitali con clienti e prospect attraverso i canali social, web e Mobile. Il Digital Media Specialist e il Social Media Manager progettano, gestiscono e spingono l’azienda nelle soluzioni digitali innovative. Infine, la tendenza dei settori retail ad integrare i dati della clientela, uniformando la relazione in tutti i canali (omni-channel marketing), porta le aziende a massimizzare l’efficacia con l’eCRM & Profiling Manager, in grado di presidiare il sistema di Customer Relationship Management. Tra le competenze tecniche alla base di questo profilo ci sono le tecniche di segmentazione della clientela e di analisi del customer portfolio.
La Formazione: perno del cambiamento
Perno del cambiamento e della cultura digitale è la formazione: le aziende devono mappare le competenze presenti in azienda, fare piani di sviluppo formativo impegnandosi nel re-training e reclutare le nuove risorse in linea con le tendenze digitali, per rincorrere l’evoluzione in atto. Dal canto loro, i lavoratori non possono rilegare la formazione ad un mero adempimento da inserire tra gli impegni operativi, ma dovrebbero rapportarsi all’aula con approccio proattivo e strategico, per se stessi e per il proprio ruolo in azienda.
La formazione e la condivisione di informazioni digitali è un tratto distintivo delle società definite “Digital Leaders”: non solo hanno saputo riconoscere ed investire nell’innovazione, ma hanno aperto la conoscenza di questo tema a tutti i livelli d’impresa, stabilendo nuove gerarchie e priorità. All’interno di queste aziende, il CIO è il primo referente in grado di diffondere in azienda la conoscenza dei digital trends, diventando un coach per i colleghi, trasversalmente all’area di appartenenza. Le innovazioni partono dal dipartimento IT, diffondendosi a tutti i rami aziendali, in un training ininterrotto che scardina anche i centri decisionali e di potere. Ma nessuna funzione aziendale è immune dalla trasformazione. Sui posti di lavoro creati dall’innovazione digitale vi è, specialmente in Italia, un forte divario tra domanda e offerta di lavoro, in quanto le aziende hanno difficoltà a reperire le professionalità desiderate e perfino a capire se c’è la possibilità di svilupparle internamente a partire dalle risorse già presenti in azienda.
Tutto quanto espresso non può prescindere da un impegno consapevole e convinto da parte del Top Management, che sfrutti uno stile di leadership 2.0 e abbandoni tutte le riserve mentali e preconcetti paralizzanti. La gestione dell’innovazione impone la riflessione su nuovi modelli di lavoro che tentino di assicurare alla leadership di raggiungere l’obiettivo del cambiamento senza inibire l’espressione e la creatività delle risorse. Facile a dirsi ma meno a realizzarsi se si pensa a quanto sia difficile esprimere idee potenzialmente dirompenti in organizzazioni estremamente strutturate e a quanto, il middle management, faccia fatica a confrontarsi con la Generazione Y (i nativi digitali) che sta lentamente entrando nelle aziende.
I leader più innovativi, in definitiva, sono quelli che riescono a circondarsi di collaboratori in grado di esprimere la propria creatività, liberi dalla paura di mettersi in discussione ed accettando le sfide poste dal cambiamento. Essere digitali è una condizione mentale più che anagrafica.
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